Il termine consumo collaborativo (sharing economy) definisce un modello economico basato su di un insieme di pratiche di scambio e condivisione siano questi beni materiali, servizi o conoscenze. È un modello che vuole proporsi come alternativo al consumismo classico riducendo così l’impatto che quest’ultimo provoca sull’ambiente.
Il termine ha origine nel 1978 e fu coniato da Marcus Felson e Joe.
L. Spaeth nel loro articolo “Community Structure and Collaborative
Consumption: A routine activity approach” pubblicato nel American
Behavioral Scientist.
Le caratteristiche:
• la condivisione: l’utilizzo comune di una risorsa;
• la relazione peer-to-peer: nuovi bisogni e la crescente necessità di
interagire con le aziende in una modalità più partecipativa;
• La piattaforma digitale: per il supporto delle relazioni in cui è
presente un meccanismo di reputazione digitale e le transazioni
avvengono tramite pagamento elettronico.
Quella della sharing economy è la cultura del “noi”, nel senso che
contano elementi quali la condivisione, la comunicazione, la fiducia, ma
soprattutto l’assenza di conflitti strutturali dovuti al fatto che
l’accesso alle informazioni è davvero un fatto alla portata di tutti gli
attori in campo.
Da una prospettiva macroeconomica; segue il modello del mercato ibrido.
Lo scambio di beni e servizi è stato il dominio predominante nei modelli
di mercato. Questi modelli si focalizzano sul trasferimento della
proprietà di risorse economiche tra le due parti. A seconda se vi è
nello scambio denaro o meno, in entrambi i casi gli attori scambiano la
proprietà di un bene o servizi.
Da una prospettiva microeconomica; fa parte della discussione di diverse
discipline. Per esempio, il marketing analizza la rilevanza di marchi
che sembrano diventare meno rilevanti se i consumatori sono capaci di
accedere – per esempio – a diverse automobili di venditori differenti.
La prospettiva del venditore fa parte della ricerca nel settore
dell’amministrazione degli affari che identifica le nuove strategie per
la Sharing economy per gli operatori storici e i nuovi arrivati
Una prospettiva integrata è discussa nell’area delle scienze dei servizi
la quale è strettamente correlata con il concetto di “orientamento al
servizio”. In questo contesto, i sistemi di servizi (ristorazione,
finanziario, mobilità..). Ad esempio il crowdsourcing.
Le tipologie del consumo collaborativo sono quattro: Trasporti, Viaggi, Beni e servizi, conoscenze:
Per quanto riguarda i trasporti, negli ultimi anni, complice anche il
costo sempre più elevato dei carburanti, sono nate nuove formule per
ovviare a questo problema attraverso il car sharing, car pooling e bike
sharing sono i più conosciuti.
Nei viaggi, esistono formule di ospitalità come quelle offerte dagli
utenti di CouchSurfing o BeWelcome che permettono gratuitamente di
accedere alla casa di uno degli utenti e soggiornare per un periodo di
tempo limitato. I partecipanti al progetto oltre a ottenerne un
beneficio economico dovuto al risparmio di non dover rivolgersi alle
classiche strutture di ricezione ne traggono un enorme beneficio in
termini di scambio interculturale, di conoscenza di usi, costumi e
territorio. Diversi servizi online permettono ai viaggiatori di trovare
un “local friend”, un amico locale, che condivide le proprie conoscenze
del posto e i propri stili di vita. In questo modo cercano di dare una
prospettiva nuova al turismo, detto anche “turismo esperienziale”.
Invece, per quanto riguarda i beni e servizi, la concezione riprende dal
baratto: la formula più antica di scambio, la ridistribuzione di beni
posseduti e non più necessari o voluti viene messa a disposizione della
comunità in cambio di altro più appetibile. Anche spazi come un ambiente
di lavoro è un servizio che si può condividere, così le spese
dell’affitto, di un collaboratore o di un computer possono facilmente
essere abbattute mediante i progetti di coworking.
Le conoscenze sono rappresentate dalla banca del tempo, struttura
principe che si occupa di far incontrare le persone che vogliono mettere
a disposizione della comunità le proprie conoscenze ottenendone in
cambio altre. L’unità di misura è appunto il tempo, e il tempo di
ciascuno, qualsiasi cosa offra, è uguale al tempo di tutti gli altri.
Quali sono i benefici della Sharing Economy?
I benefici sono diversi a cominciare dalla riduzione dell’inquinamento
mediante condivisione dei mezzi di trasporto, il risparmio economico e
riduzione degli sprechi grazie alle formule di prestito, acquisto
condiviso, scambio di prodotti e l’incremento della felicità grazie a
nuove interazioni sociali positive.
Nota dolente dell’economia della condivisione è la sua legislazione piuttosto carente:
In Europa si è presentato il problema di una regolamentazione
soprattutto con il servizio di trasporto Uber, più che con servizi di
bike sharing, car sharing e che in altri settori: finziario, educativo, e
della ristorazione.
Dal 3 giugno 2016 l’Unione Europea si esprime con delle linee guida
giuridicamente non vincolanti ma con cui si potranno aprire procedure
d’infrazione e rivolgersi alla Corte di giustizia europea. In
particolare chiede di distinguere tra chi mette a disposizione la
propria proprietà occasionalmente a chi la svolge professionalmente e le
nuove attività di sharing economy potranno essere vietati dagli stati
nazionali solo come misura estrema.
In Francia ad esempio dal primo gennaio 2015 servizi come Uber Pop sono
illegali ed il 2 aprile 2015 Uber ha fatto ricorso alla Commissione
europea
Anche In Germania:Uber il 4 aprile 2015 ha fatto ricorso contro la legge tedesca all’Unione Europea
In Spagna, Il 30 marzo 2016 Uber apre il servizio Uber X, in cui i
conducenti sono equiparati ai servizi di noleggio con conducente (NCC) e
quindi con licenza
In Italia, nel 2015 i servizi UberPOP sono stati sospesi, rimane legale
il servizio UberBlack a Roma e Milano e il servizio di carpooling della
francese Blablacar, e i servizi di Car sharing e bike sharing nonché di
affitto case come Airbnb.
Uber si prepara comunque a lanciare per l’anno in corso i nuovi servizi
di consegna a domicilio già sperimentati in altri Paesi e a proporne di
nuovi per il mercato italiano
A marzo 2016 un intergruppo parlamentare presenta una proposta di legge per la sharing economy.
Un quadro normativo aggiornato, in grado di considerare i cambiamenti
che le piattaforme online stanno apportando, inizia ad essere una
necessità improrogabile, regolamentando la sharing economy in una logica
di integrazione con il mercato tradizionale consentendo lo sviluppo di
un’economia innovativa.
In Italia la proposta di legge (3564), che disciplina le piattaforme
digitali per la condivisione di beni e servizi e da le disposizioni per
la promozione dell’economia della condivisione, è stata presentata dall’
Intergruppo Parlamentare sull’Innovazione costituito dagli Onorevoli
Tentori, Palmieri, Catalano, Boccadutri, Bonomo, Bruno Bossio, Coppola,
Galgano, Quintarelli e Basso.
Il 2 marzo è stata aperta una consultazione pubblica, grazie al supporto
dell’Associazione Stati Generali dell’Innovazione, sulla piattaforma
Making Speeches Talk di Open Evidence; in cui tutti i commenti inseriti
sono stati considerati dai deputati nella stesura della versione finale
della proposta di legge.
Qual è l’obiettivo della proposta di legge?
• disciplinare le piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi
• promuovere l’economia della condivisione
• definire misure volte a fornire strumenti atti a garantire la
trasparenza, l’equità fiscale, la leale concorrenza e la tutela dei
consumatori.
La proposta di legge, definisce i soggetti coinvolti nella sharing
economy, individua le autorità di vigilanza (AGCM)* e istituisce il
Registro elettronico nazionale delle piattaforme di sharing economy,
Regolamenta mercato, sistemi di pagamento, fiscalità e sanzioni,
introduce la differenza tra:
• microattività non professionali a integrazione del reddito
• esercizio a livello professionale o imprenditoriale
Dall’attuazione della legge, non discendono nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica, inoltre le risorse finanziarie derivanti
dalla sua attuazione sono destinate alla completa deducibilità delle
spese sostenute dai gestori e dagli utenti operatori delle piattaforme,
in modo tale da favorire, l’accrescimento delle competenze digitali, la
realizzazione di politiche di innovazione tecnologica, la
digitalizzazione delle imprese e infine la nascita di nuove forme di
occupazione e imprenditorialità.
La sharing economy richiede comunque un grande investimento di fiducia
da parte degli utilizzatori i quali prima di investire il proprio denaro
si accertano dell’attendibilità dell’offerta e della piattaforma
digitale per usufruire del servizio.
Il rischio, però, è che la potenziale soggettivazione degli attori
economici individuali marginali, che offrono beni, competenze e servizi
sulle piattaforme sia in realtà solo apparente. Il vero potere, infatti,
sembra rimanere saldamente nelle mani dei promotori delle piattaforme.
Rimane così aperto un interrogativo; la distribuzione di denaro, che
circola nella nuvola dei tanti microscambi economici abilitati dalle
piattaforme, corrisponde anche a una effettiva distribuzione di potere?
Edoardo Desiderio – Agenzia Stampa Italia